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Lotto Marzo, un racconto di Andrea Spila (Parktraits stories)

2025-03-09 21:30

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Lotto Marzo, un racconto di Andrea Spila (Parktraits stories)

"Lotto Marzo", una storia quasi vera, è stato concepito su un vagone della linea ferroviaria Roma-Viterbo,..

Lotto Marzo

un racconto di Andrea Spila


(8 minuti circa di lettura)


Lotto Marzoun racconto di Andrea Spilajpg


G. Regnani, a "Lotto Marzo", 2025


Ringrazio il compagno di viaggio e amico Gerardo per aver accolto il mio breve racconto in occasione della Giornata Internazionale delIe Donne. Quest'anno il tema della IWD 2025 è Accelerate Action, un incitamento a impegnarci tutte e tutti ogni giorno per raggiungere presto la parità di genere. Secondo il World Economic Forum, al ritmo attuale, vedremo realizzata una piena parità di genere solo nel 2158. Ossia tra circa 5 generazioni. Non possiamo più accettare questa insopportabile ingiustizia che colpisce le donne nelle loro opportunità di crescita personale e lavorativa, negli stipendi, nella violenza tra le mura domestiche, nella rappresentanza, nei diritti civili fondamentali. È alla battaglia delle donne che possiamo e dobbiamo ispirarci per abbattere definitivamente le pericolose rovine fumanti del patriarcato che continuano a diffondere violenza, colonizzazione, guerra e morte pur essendo ormai destinate alla pattumiera della storia.


"Celebrando i risultati ottenuti dalle donne, diffondendo la consapevolezza delle difficoltà che affrontano e lottando per il cambiamento, possiamo impegnarci per costruire un mondo più giusto per tutte e tutti".
(https://www.internationalwomensday.com/Theme)



***


Lotto Marzo


un racconto di Andrea Spila



Sono una famiglia normale. Qualunque cosa significhi "normale" quando si parla di esseri umani. Padre, madre e due bambini, uno sui due anni e l'altro sui sei. Siamo in treno, uno dei miei luoghi privilegiati per osservare il mondo. Il papà ogni tanto acchiappa al volo il piccolo, alla ricerca continua di avventure in quello che deve sembrargli un gigantesco parco giochi in movimento, con tutte quelle maniglie, i pulsanti colorati che si accendono come gli special di un flipper e le pertiche sulle quali esegue numeri circensi, che a un genitore di una famiglia tradizionale italiana provocherebbero di sicuro un attacco di panico. Ma loro non sono italiani. Lei è asiatica, probabilmente cinese, lui immagino che sia originario del Portogallo, perché tra loro parlano portoghese - la variante europea - e un po' di italiano. Essendo cresciuto bilingue mi incuriosisce il fatto che non parlino la lingua materna, anche se ovviamente non si può escludere che anche la madre sia nativa portoghese. In una delle rare pause in cui il piccolo acrobata sta seduto per pochi secondi accanto al fratello, noto, con una certa invidia, i pantaloni della tuta che indossa: all'altezza delle ginocchia ci sono i musetti di due orsacchiotti e due orecchie per gamba. Ma è questione di attimi e lui riparte, si lancia come se ci fosse un'invisibile liana che lo trasporta da una poltrona all'altra nel vagone semivuoto del sabato pomeriggio. Questa volta ad acchiapparlo al volo prima che precipiti dalla liana immaginaria è la mamma. Il papà è crollato, si è addormentato di schianto: chissà da quanto tempo inseguiva le acrobazie del piccolo. I due bambini lo lasciano dormire e si rivolgono alla mamma. Parlano un misto di portoghese e italiano, si capisce che sono da poco in Italia. Vorrei tanto chiedergli che altre lingue parlano in famiglia, ma mi lascio incantare dal modo in cui la mamma gestisce i figli. Il più grande, seduto nella poltrona accanto a lei, ha tirato fuori da uno zainetto un quaderno e fa i compiti. Ogni tanto le chiede qualcosa e lei, se non sa rispondere, cerca sul web. Il bambino è fiero di saperne più di lei. Anche se sono in Italia da poco tempo, le prime parole della nostra lingua hanno fatto già ingresso nel loro lessico familiare. Mentre risponde alle domande del primogenito, la mamma intrattiene il piccolo. Gli ha tolto le scarpe e gli solletica i piedi, mentre il duenne ride, con quella pienezza di gioia che noi umani riusciamo a vivere solo da piccoli. Mi viene in mente una pratica meditativa in cui si cerca di riprendere contatto con quel godimento immediato e pieno della nostra infanzia. Non è facile, forse riusciamo a malapena ad avvertire l'eco del "qui e ora" infantile. Certo è che la mamma sa bene come toccare quel suo cucciolo di uomo, e non solo fisicamente. Ora mordicchia i suoi piedi come fossero morbide pagnottelle, suscitando l'ilarità del bambino. Il fratello maggiore, intanto, le mostra il quaderno dove ha scritto ordinatamente, all'interno delle rigide righe delle elementari, pensate per aiutare gli alunni ad apprendere la dimenticata arte calligrafica. La mamma, senza staccare la bocca dalla preda, annuisce convinta. Il padre, con la bocca aperta, ha cominciato a russare delicatamente. Mi chiedo che cosa sia cambiato, nel giro di un periodo di tempo relativamente breve nelle relazioni familiari, quelle tra i genitori, tra questi e i loro figli e tra fratelli e sorelle. Quando ero piccolo io, negli anni Sessanta dello scorso secolo, mio padre tornava a casa tardi dal lavoro. Era stanco, ma dopo essersi tolto gli abiti da lavoro, la giacca e la cravatta, veniva subito coinvolto da me e mio fratello in scatenati giochi fisici sul tappeto del salotto. La chiamavamo "la lotta" e ce la godevamo tutti e tre. Poi mio padre si sedeva sul divano e leggeva il giornale, mentre mia madre preparava la cena. I ruoli dei genitori erano ben definiti, le gabbie delle convenzioni stavano strette a tutti, ma non c'erano altri modelli e la forza delle abitudini faceva sì che nulla cambiasse. Per fortuna, i miei erano un po' anarchici e anche leggermente selvaggi, per cui ogni tanto sfuggivano alle regole di quella società intrisa di cattolicesimo e patriarcato. Poi arrivò il femminismo. Me lo ricordo bene, erano arrivati gli anni Settanta e per me era appena cominciata l'adolescenza. Guardavo con curiosità le ragazze, ancora non chiaramente consapevole delle misteriose gioie che la diversità tra i sessi poteva regalarci. Nel frattempo, le donne che subivano pesantemente le limitazioni e le imposizioni dei maschi, cominciavano a organizzarsi e a ribellarsi. Ci furono gli anni del separatismo, la risposta violenta e reazionaria degli uomini di potere politici e religiosi, ma nulla avrebbe fermato quel fiume felicemente caotico e irriverente di donne in rivolta. Solo oggi possiamo comprendere come il femminismo sia stato "la vera rivoluzione antropologica del secolo passato", come sostiene la psicanalista femminista Manuela Fraire, e anche immaginare meglio i tanti passi che ancora ci aspettano per liberarci, uomini e donne, dalle rovine ancora fumanti dell'eredità patriarcale. La ascolto alla radio una mattina1 e apprendo i motivi della portata rivoluzionaria (che pure intuitivamente mi era già chiara) femminismo, sia quello storico che quello attuale. Le femministe hanno imparato dai gruppi di autocoscienza "a stare bene con sé, in presenza di altri", o se vogliamo usare i termini psicoanalitici a fare ricorso a quello che Freud chiamava "narcisismo di vita", ossia quella forma sana dell'amore di sé, indispensabile per relazionarsi agli altri. Questa è la grande lezione del femminismo dopotutto e ancora oggi abbiamo bisogno tutti di imparare ad scoprire e a coltivare l'energia vitale che abbiamo in noi e che è la nostra bellezza di esseri umani. Il femminismo non ha certo esaurito il suo potenziale trasformativo, anzi oggi più che mai abbiamo bisogno della visione femminista, e non solo di quella, per affrontare la grande sfida del superamento definitivo della società patriarcale e della sua mortifera eredità. Il papà si sveglia, come d'istinto, poco prima dell'arrivo alla stazione di destinazione della famigliola che mi ha fatto compagnia sul treno. In pochi minuti, con un gioco di squadra chiaramente collaudato i due giovani genitori si preparano a scendere dal treno. Sento il loro allegro chiacchiericcio mentre si allontanano verso l'uscita e il papà acchiappa al volo la mano del piccolo che cerca di azionare il freno di emergenza.


***


Andrea Spila, traduttore, interprete e scrittore, da trent'anni è attivista del movimento per la pace e la giustizia sociale e creatore di comunità. Ama raccogliere storie sui treni e in metropolitana, impicciandosi degli affari altrui. "Lotto Marzo", una storia quasi vera, è stato concepito su un vagone della linea ferroviaria Roma-Viterbo,


Roma,  8 marzo 2025



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