IO, IL PARKINSON E LE DONNE
di Massimo Crucitti
(3 minuti circa di lettura)
Per noi uomini è quasi impossibile comprendere la condizione delle donne, se non altro perché siamo educati al disprezzo dell'empatia e della commozione, l'unica emozione che abbiamo avuto modo di declinare ampiamente è la rabbia, e l'unico ambito in cui ci è consentito commuoverci è in alcune competizioni sportive come il calcio.
La debolezza, la vulnerabilità, la fragilità; sono attributi non-maschili.
Però accade che se un uomo vive abbastanza a lungo, ad un certo punto entra in una fase della vita caratterizzata proprio da quegli attributi: la vecchiaia.
A volte non è necessario aspettare la vecchiaia, basta una patologia disabilitante come il Parkinson.
Alcuni sintomi del Parkinson, come la lentezza, sono particolarmente anti-maschili; anche il tremore mette molto in crisi l'identità maschile, essendo culturalmente associato alla paura; la debolezza muscolare è un ulteriore elemento critico.
Tutto questo viene contrastato con manifestazioni eroiche di lotta senza quartiere alla malattia, dove ancora una volta è promossa la forza, l'impavidità, la rabbia, la bellicosità.
Questo approccio può anche essere funzionale a contrastare la depressione tipica di questa patologia, col rischio però di una controproducente dispersione di energie e lo sviluppo di una forma di mitomania.
A me il Parkinson ha fatto scoprire la vulnerabilità, e mi ha fatto sentire particolarmente vicino alla condizione delle donne; ci tengo a fare una precisa distinzione tra fragilità e vulnerabilità, le donne non sono affatto fragili, al contrario hanno sviluppato una formidabile tenacia per sopravvivere nello stato di vulnerabilità in cui sono costrette da noi uomini.
Noi uomini generalmente cominciamo a intuire qualcosa della condizione femminile il giorno che nasce una figlia femmina, la percepiamo come un essere assediato dal maschile e non ci sentiamo in pace fino a che non avrà trovato un marito che la protegga, salvo poi scoprire che nella stragrande maggioranza dei casi di morte violenta delle donne, la causa è proprio quel marito.
Il Parkinson mi ha anche messo in contatto con le emozioni, nonostante si soffra di una ridotta mimica facciale che ci rende inespressivi, non riesco più a inibire l'emotività, anche se forse non la manifesto esteriormente, la vivo con estrema intensità interiormente, non posso vedere certi film, vado in agitazione se mi parlano di certe cose o a volte se devo parlare in pubblico.
Non credo che prima non ci fossero queste emozioni, ma era come se un muro impedisse di farle arrivare alla coscienza.
Mi ci è voluto un po' di tempo per lasciare che le emozioni mi abitassero e mi rendessero un non-maschio, purtroppo non è consolatorio constatare che mi ci è voluta una malattia per capire queste cose, ma non vorrei neanche rimanere nello stato di inconsapevolezza precedente.
Roma, 8 marzo 2025
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